" Eppure mi sfiorano le stelle" recensione a cura di Anna Maria Guidi
Eppure davvero ti sfiorano le stelle, caro Carmelo, in queste tue “poesie di aeree vibrazioni” dove l’anima “non ha spazi né stanze” per “addentrarsi e perdersi” nell’ “audacia delle sfide” verso “un lungo sospiro di tempi nuovi”, che risalgono con “la freccia del Sud” “tra piane di grano | e Appennini di future terre” dal “magma delle cose”/case abbarbicate al sanguigno c®uore della tua Sicilia, rovente di lava tra i suoi “antichi riti” e “segreti di morti ammazzati”: vibrazioni | mutazioni tra-passate | affilate (d)alle lame/trame “incerte della vita” affidate a “gli occhi” di un Iddio che viaggia, veleggia, plasma e sor-veglia il “mistero nel mistero” della sua “chimica perfetta” trasformando il “caos di bestemmie e tradimenti”, in cui la vita implode nelle “pozze di sangue” dei suoi perversi “deliri quotidiani”, in reciproco/pacifico “sorriso alla vita | agli amici | alle amate cose”. Radicate in quel tempo primordio “che ti faceva invisibile | al dolore, agli affanni” con la sua umorale scorza “di alberi e foglie”, la fossile umanità di quella vita ‘ancorapersempre’ s-corre con/in te” tra-salendo oggi alle “alate merlature” delle tue lunate notti fiorentine, “dolcemente intercalate | nello scambio di sogni | da punta a punta” e sospese “nel fitto delle persiane | nel fiato delle mura addormentate”: come le insonni lusinghe e “l’oscura angoscia” di quel promesso “continente di sogni e lavoro” in cui vagheggiavi di spogliarti, da grande, di “un destino | sempre uguale” e “senza scampo”, che balenava intermittente nel “lampo dei treni” “stretti tra l’odore dei limoni | e il cuore rosa dei mandorli”. Ed è vita che ri-nasce da ogni sua provvisoria remissione, “in passi incerti” e acerbi “nel mezzo chiarore dell’alba | come ieri, | come domani” in “crescendo di saluti, | raccomandazioni, | considerazioni” e premonizioni; vita dunque appesa/sospesa con la sua “piccola audacia” “tra i fili” della caotica/casuale “moltitudine di scambi” avvicinati , sfiorati, “sfumati dal diverso andare, | persi, | sognati” “sopra una terra | che muore d’invidia | e inganni”, avvinta/sospinta all’attesa di trasmutare in quell’ultimo ed “unico | cambio di passo | da piano a piano”, dalla precaria “grigia gravità terrena” “alle soglie del sole”, nell’immenso ‘nondove/altrove’ sempiterno di stelle. E dalle stelle che ti sfiorano/consolano con “ala leggera” di “carezze”, tu scendi nelle segrete platee del tuo intimo ‘idem’ per attingervi e ritrovarti attraversato e rinnovato dal vento degli eventi e sentimenti migranti e mutanti nell’accadere irripetibile della tua vicenda vitale, in divenire nell’intima verità del mutuo con-senso con il tuo univoco paese d’ anima: paese ri-evocato e invocato nel sospiro di fragrante nostalgia in cui i tuoi versi respirano ancora lo “splendore d’arabi giardini” dei siculi vespri dell’infanzia, quando salivi “fino ai crateri” dei sogni aspettando di viverli nel “lento avanzare” di quel mondo “moderno di cui si parlava”, promesso dal progresso “fra i grigi e le nebbie del nord”; paese che hai percorso arrancando e avanzando, arretrando e accelerando per consumare la solitaria malinconia dei passi “in sincronia | e levità di moti” con l’ “infinito pendolo dei desideri” che scandiva e ribadiva l’ansia del percorso convertendola in erranza di misericordiosa concordia con omnia mundi. E in questa ‘amorosa erranza’ ad ostacoli senza tappe, immersa nell’ abbandono a quel “profondo equoreo mondo” che J.P.Richter chiamava ‘Africa interiore’, “tutto si mischia” nel lento susseguirsi delle ritornanti maree memoriali, consenzienti con il magmatico fluire del tempo della vita, intriso e con-fuso di bergsoniana, consapevole istintualità e riflessive intuizioni/immedesimazioni nell’alterità di ogni incontro di reciproca ri-conoscenza. Esemplare per poetica concordia discors ed intimo consenso il testo “come a Dakar”, con quei “neri di Ponte Vecchio” (“anime lunghe | per file serrate”) “talmente alti | da vedere dall’Arno | l’Atlantico ventoso” e “talmente tristi | da sognare” le natie savane abbandonate per dispatriare – come te, “errante cavaliere” – in cerca d’una “vita nuova | che sembrava quella giusta | per essere felici”: una vita che, sempre “alle calcagna”, tallona e sperona, inseguita e perseguitata anch’essa come dal “grido dell’arrotino” che chiedeva attenzione al “cuore chiuso dei palazzi” per riparare “antiche vergogne” oggidì perpetrate in “deliri quotidiani” sagomati in giacigli “di plastica e cartone”, “annodati e sciolti” in frettolosa pena nel “tam tam” incalzante di vigili censure/cesure “tra Por Santa Maria, Via delle Terme, Piazza del Pesce | o viceversa”. Poesia intrisa di creaturale realtà/lealtà la tua, caro Carmelo, nei tuoi/suoi “percorsi quotidiani” a contatto di pelle e cuore con quell’inscindibile/indecifrabile ‘unicum’ di spirito e materia dove con-cresce e coalesce la carne della mente, impegnata a rendere conto e grazia al drammatico onore/onere della consapevolezza e dell’autodeterminazione, tutta e solo umana, in bilico fra l’aereo romitaggio fra le serenanti “lusinghe delle stelle” e la inevitabile discesa dentro l’attuale “tempo orrendo dei mercanti”, con i suoi “bambini soldati” “stretti ai kalashnikov”, stupiti/traditi nelle loro “adolescenze negate” ed oltraggiate dal “demone lordo” della dilagante onnipotenza guerrafondaia; poesia/paesìa, dove il ‘sentire’ di questo nostro inabile, assediato/assetato ‘pensare’ s’interroga sull’ex-sistere in misericordiosa tensione metafisica che accoglie e si raccoglie nel “bisogno di pregare”, fra-ponendo alle rette parallele dei c.d., co-esistenti ‘opposti’, la ‘pre-posta’, primordia, con-corde con-vergenza. In quella sinestesica con-vergenza è custodito infatti l’inossidabile/imperscrutabile segreto per ri-nascere ognun per l’altro dalla “croce di ulivo e spine” della migrazione vitale, in cui lenire e ricompensare il ferino morso dell’insoluto/insolvibile, egregorico enigma del ‘perché e per chi’ siamo in transito nel mondo, con il balsamo dell’accettazione che si affida e confida nel “Cristo divino” che, nel solitario silenzio del suo “mistero nel mistero”, ci accompagna e ci guida, “come i vecchi barconi” e “il passo alato degli uccelli”, “fino all’ultimo respiro”, per salvarci per amore, e solo nell’amore, nel suo in(de)finito ‘tempopersempre”: il “tempo dei miracoli” sospeso “sorseggiando le stelle”sull’”immonda palude” dei nostri turpi “deliri quotidiani”, “da occidente a oriente” tramati e tramandati fra “curve, | barriere”, pugnali e lamiere, smarrimenti e tradimenti, funesti pregiudizi e nefaste pretese. Anche per te, infatti, come per il grande Luzi (da te molto amato e prossimo d’anima’) ‘creazione’ e ‘separazione’ sono inscindibili, perché la ‘creazione’ non finisce nell’ ‘aldinulla’, ma con-fluisce e con-sente con il multànime suono del mondo sensibile con la musica universale della poesia, qui e ora questa tua dolce, ariosa e pensosa poesia, liricamente elegiaca e creaturalmente religiosa, che brilla e traluce perplessa e commossa per commuovere alla verità della reciprocità dell’uomo, libero, responsabile e capace di cor-rispondere con fede, speranza e carità ad ogni altro uomo, (im)paziente fratello nella stessa genetica impossibilità di darsi ragione della propria pensante/paziente condizione di monca piramide: che s’innalza assediata/insidiata/stremata dal sirenide richiamo della comune, agognata, inattingibile vetta, seguitando “l’invito a quel vivere diverso” che non corrisponde più con dolore “al dolore”, ma soltanto, con il “pieno di colori” delle sue “aeree vibrazioni”, con il kerigmatico ‘tauma’ del “primo regno” dell’amore, fra “voglia di mare”, “campagne d’ambra, | acqua chiara di torrenti, | parole d’erba, | petali di canto”, “in ali di farfalla” “vestito di stelle”. giugno 2008 |